mercoledì 2 luglio 2008

NOTA STAMPA

Non sempre ciò che colpisce l’occhio arriva fino al cuore, spesso si ferma molto prima. Per un semplice appagamento estetico e visivo. Ciò che ci attrae è la bella forma, l’armonia dei contrasti, le tonalità più o meno forti, un certo gusto per la decorazione che, però, nulla hanno a che vedere con implicazioni emotive profonde che potrebbero rievocare in noi sensazioni passate o ricordi sommessi della nostra infanzia.

Elogio della superficie appunto.

Esaltazione dell’esteriorità.

Perché tanta superficialità?

"Solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze", diceva Oscar Wilde. Allora recuperiamo la parte superficiale in ognuno di noi ed esaltiamola alla massima potenza. Godiamo con gli occhi, senza il filtro della ragione. Semplifichiamo, dividiamo, viviamo. Un ritorno primordiale alla semplicità infantile.

Quasi un nuovo realismo svuotato di implicazioni filosofiche e psicologiche. Un contenitore vuoto da non riempire, anzi forse da svuotare periodicamente. La bellezza a sé, l’arte per l’arte, l’inutilità assoluta. Tutto questo confluisce in Dive divine e divani.

Dive.Cosa c’è di più appariscente di una diva, cosa c’è di più appagante della sua immagine? Un alone di mistero per non dire nulla della vita privata. Ma solo ammirazione, nel senso visivo del termine. Osservazione di coloro che hanno fatto della loro vita un’immagine, e quindi della loro esteriorità un’icona da celebrare.

Divinità. Spogliate di qualsivoglia riferimento religioso queste immagini assumono un carattere puramente estetico e decorativo. Diventando così un insieme di simboli e accostamenti cromatici che hanno come unico fine la bellezza.

Divani. Assembramenti modulari di forme e colori, oggetti di uso quotidiano utilizzati per svagarsi, distrarsi, non pensare. Archetipi della futilità e del tempo libero, dell’ozio e del relax. Oggetti che diventano sempre più ornamenti estetici per le nostre case, che perdono la comodità a scapito del design. Riqualificandosi in una veste de-strutturata che li ri-connota esteticamente. “Je est un autre” o “Ceci n'est pas une pipe”.

Dive, divinità e divani come emblemi del vuoto. Un vuoto cosmico, dilagante. In una società che non ha voglia di riflettere ma che si vuole semplificare ai minimi termini per apparire in quello che è, forse in maniera più vera e sostanziale di quanto possa farci credere a parole o attraverso concetti troppo elaborati.

Michele Nero

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